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Il viaggio di Kris

Un film sovietico da moltissimi frainteso, Solaris, diretto da André Tarkovski e tratto dal libro di Stanislaw Lem, illustra i proble­mi affrontati da alcuni astronauti in una sta­zione spaziale che orbita intorno al pianeta Solaris in una lontana galassia.

Dell'iniziale gruppo di ottantacinque astro­nauti ne sono rimasti solo due. Moltissi­mi sono fuggiti, altri, impazziti, sono stati ri­spediti sulla Terra. Parecchi si sono suicidati.

La superficie di Solaris è un vasto oceano, che è anche un'unica mente vivente. Questo pianeta-oceano-mente gioca tiri spaventosi alla mente dei suoi ospiti.

Sulla Terra perplessi funzionari spaziali decidono di mandare ad indagare Kris Kel­vin, uno psicologo. Prima di partire per lo spazio esterno, Kelvin trascorre le sue ultime settimane da suo padre in una casetta nasco­sta tra i boschi. Si tuffa nella foresta e fa lun­ghe, silenziose passeggiate tra i prati. A que­sto punto il film procede con accentuata len­tezza. Ci sono lunghe sequenze in cui l'o­biettivo riprende soltanto eventi naturali della foresta. È rispettato il rapporto natura-tempo.

Talvolta l'obiettivo segue lo sguardo di Kelvin che indugia attento sui particolari dell'ambiente. Piove. Kelvin è inzuppato. Di ritorno nella casetta, si riscalda al fuoco.

Giunge finalmente il momento della par­tenza. Ora la cinepresa è sistemata sul sedile anteriore dell'automobile, sta dove sta sedu­to Kelvin. Vediamo ciò che vede lui.

Lentamente cambia la natura del terreno. Le strade sinuose ed alberate cedono il passo a strade diritte, ad una corsia. Il fogliame si allontana dalla strada statale. Quindi ci ri­troviamo sull'autostrada. L'ambiente è ora fatto di auto che sfrecciano, sovrappassi, sot­topassaggi, gallerie. Subito siamo in una cit­tà. Rumori, luci, edifici, ovunque. Il paesag­gio naturale è soffocato, invisibile. Prevalgo­no paesaggi antropocentrici, l'astratta realtà. Uno stacco rapido ci porta nello spazio.

Kelvin è solo in un piccolo veicolo spazia­le con rotta su Solaris. La Terra è lontana. Kelvin ha abbandonato le sue radici. Qualsiasi concretezza è impossibile. L'ambiente in cui si trova è del tutto astratto. La sua patria planetaria esiste ora solo nella sua memoria.

Arrivato alla stazione spaziale Kelvin comprende il tiro che Solaris sta giocando agli astronauti. Solaris penetra nei ricordi dei suoi ospiti e quindi fa sì che questi si ma­nifestino come reali. Ciò comincia ad acca­dere a Kelvin, la cui moglie, morta molto tempo prima, appare nella sua stanza. Dap­prima pensa che sia un'immagine, poi si ren­de conto che non è solo un'immagine, ma è realmente lei. Eppure entrambi sono consa­pevoli del fatto che lei è soltanto una mani­festazione della sua immagine. Così lei è si­multaneamente reale ed immaginaria.

Nel laboratorio appaiono altre persone emergenti dalla vita di Kelvin. Incontra i ri­cordi ricreati degli altri due astronauti; pa­renti, vecchi amici, giocattoli, pezzi di indu­menti da lungo dismessi, attrezzi tecnici, piante in vaso, cani, nani di un circo dei tem­pi della fanciullezza, campi erbosi. Le cose vengono confusamente sparse intorno men­tre i visitatori provenienti dalla Terra cerca­no di decidere che fare di tutta quella roba reale/irreale che continua ad apparire dalla loro memoria. La stazione spaziale assume il carattere d'un sogno, d'un carnevale, d'un manicomio.

Gli scienziati pensano di tornare sulla Terra e gli altri concordano. Kelvin appog­gia questa decisione poiché sente in pericolo il suo equilibrio mentale, anche se capisce che partire significa «uccidere» la moglie ri­trovata. Una volta sulla terra lei sarà un ri­cordo, così come la Terra è divenuta un ri­cordo in questa stazione spaziale. La donna capisce tutto ciò e ciò è fonte d'angoscia per entrambi.

Nessuno tra gli scienziati o le creazioni delle loro menti può esercitare un controllo su quanto accadrà. Senza una realtà concre­ta, cioè senza un contatto con le loro radici planetarie sono alla deriva nelle loro menti: alienati. Ogni informazione è diventata cre­dibile e non credibile allo stesso tempo. È di­ventata arbitraria. Non c'è modo di distin­guere il reale dal non reale. Per quanto gli astronauti sappiano ciò, poiché non c'è nulla che non sia arbitrario, ogni informazione ha lo stesso valore. È impossibile stabilire in base a quale informazione operare.

Solaris ha reso suoi sudditi gli astronauti. Questi non possono difendersi dalle immagi­ni che il pianeta rende concrete. Alla fine agli uomini non resta che accettare tutte le informazioni come reali. Kelvin passa attra­verso un lungo ciclo di immagini della Ter­ra, dalla fanciullezza sino all'attuale vita nella stazione spaziale. Egli è di nuovo nella casa del padre, ma è anche nello spazio. Pio­ve di nuovo, ma ora la pioggia non è all'a­perto. Potrebbe essere così. Lui non può fare distinzioni. Accetta.

Alla fine il messaggio del film è chiaro. Il processo che conduce alla follia è cominciato molto prima del lancio nello spazio. È co­minciato quando la vita si è trasferita dalla natura nelle città. Il viaggio di Kelvin dai boschi alla città allo spazio era stato un viag­gio dal rapporto al non rapporto, dalla real­tà all'astrazione, una storia della tecnologia che crea i presupposti per l'imposizione di realtà ricostruite ad opera di una singola for­za possente.

Jerry Mander 1978

Tratto da Quattro Argomenti per Eliminare la Televisione, Dedalo, Bari 1982.

 

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