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Il ritorno dell'uomo epimeteico
La nostra società assomiglia a quella macchina insuperabile che ho visto una volta a New York in un negozio di giocattoli. Era uno scrigno metallico, che, premendo un pulsante, si apriva per mostrare una mano meccanica le cui dita cromate si protendevano verso il coperchio, lo abbassavano e lo chiudevano a chiave dall'interno. Trattandosi di una scatola, ti saresti aspettato che si potesse estrarne qualcosa, e invece conteneva soltanto un meccanismo per chiudere il coperchio. Questo bizzarro congegno è il contrario esatto della «scatola» di Pandora.
La Pandora originaria, «Colei che tutto dona», era una dea della terra nella Grecia matriarcale della preistoria. Essa fece scappare tutti i mali dal suo vaso (pythos), ma chiuse il coperchio prima che potesse fuggirne anche la speranza. La storia dell'uomo moderno comincia con la degradazione del mito di Pandora e termina con lo scrigno che si chiude da solo. È la storia dello sforzo prometeico per creare istituzioni che blocchino l'azione dei mali scatenati. È la storia dell'affievolirsi della speranza e del sorgere delle aspettative.
Per capire ciò che questo vuol dire dobbiamo riscoprire la differenza tra speranza e aspettativa. Speranza, nell'accezione piú pregnante, indica una fede ottimistica nella bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e controllati dall'uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale attendiamo un dono. L'aspettativa attende soddisfazione da un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l'ethos prometeico ha messo in ombra la speranza. La sopravvivenza della specie umana dipende dalla sua riscoperta come forza sociale.
La Pandora originaria venne mandata sulla terra con un vaso che conteneva tutti i mali, e in piú, come unico bene, la speranza. Era in questo mondo di speranza che viveva l'uomo primitivo. Egli confidava, per sopravvivere, nella munificenza della natura, nelle elargizioni degli dèi e negli istinti della sua tribú. I greci dell'epoca classica cominciarono a sostituire alla speranza le aspettative. Nella loro versione del mito, Pandora liberava sia i mali che i beni; ma essi la ricordavano soprattutto perché aveva sguinzagliato i mali nel mondo. E, cosa particolarmente significativa, dimenticavano che «Colei che tutto dona» era anche la guardiana della speranza.
I greci raccontavano anche la storia di due fratelli, Prometeo e Epimeteo. Il primo consigliò all'altro di star lontano da Pandora; ma l'altro non gli diede retta e la sposò. Nella Grecia classica il nome «Epimeteo», che significa «colui che capisce a posteriori», era considerato un sinonimo di «sciocco» o di «ottuso». All'epoca in cui Esiodo rinarrò questa storia nella sua forma classica, i greci erano divenuti dei patriarchi moralisti e misogini, terrorizzati al solo pensiero della prima donna. Essi costruirono una società razionale e autoritaria. Escogitarono istituzioni con le quali contavano di tener testa ai mali scatenati. Scoprirono il loro potere di plasmare il mondo e di fargli produrre servizi che impararono anche ad aspettarsi. Vollero che le proprie necessità e le future esigenze dei loro figli fossero conformate alle loro opere. Divennero legislatori, architetti e scrittori, crearono costituzioni, città e opere d'arte perché servissero da modello alla loro progenie. Mentre l'uomo primitivo aveva adoperato una partecipazione mitica ai sacri riti per iniziare gli individui alle tradizioni della società, i greci dell'età classica riconoscevano come veri uomini solo quei cittadini che si lasciavano adattare dalla paideia (educazione) alle istituzioni create dai loro avi.
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L'uomo si assunse la responsabilità delle leggi sotto cui voleva vivere e quella di modellare l'ambiente a propria immagine. L'iniziazione primitiva alla vita mitica attraverso la Madre Terra si trasformò nell'educazione (paideia) del cittadino capace di sentirsi a proprio agio nel foro.
Per il primitivo il mondo era governato dal fato, dai fatti e dalla necessità. Sottraendo il fuoco agli dèi, Prometeo tramutò i fatti in problemi, revocò in dubbio la necessità e sfidò il fato. L'uomo classico formò un contesto civilizzato per una prospettiva umana. Era conscio di potere, sí, sfidare il fato; la natura e l'ambiente, ma solo a proprio rischio. L'uomo contemporaneo va oltre: tenta di creare il mondo a propria immagine, di costruire un ambiente prodotto totalmente dall'uomo, e poi s'accorge che può farlo solo a patto di rifare continuamente se stesso per adattarsi ad esso. Dobbiamo ora guardare in faccia la realtà: è l'uomo stesso che è in gioco.
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Poiché non c'è nulla di desiderabile che non sia stato programmato, il ragazzo di città ne arguisce che sapremo sempre inventare un'istituzione per ogni nostro bisogno. Riconosce al processo, come un dato di fatto incontestabile, il potere di creare valore. Che si tratti d'incontrare un compagno, d'integrare un quartiere o d'imparare a leggere, l'obiettivo verrà sempre definito in modo tale che la sua realizzazione sia organizzabile tecnicamente. L'uomo il quale sa che tutto quanto è richiesto viene prodotto, ben presto finisce per aspettarsi che niente di ciò che viene prodotto possa non essere richiesto. Se si può progettare un veicolo lunare, altrettanto è concepibile la richiesta di andare sulla luna. Non andare dove si può andare sarebbe sovversivo. Smaschererebbe la follia del principio che ogni richiesta soddisfatta comporti la scoperta di una richiesta ancor maggiore che chiede di essere soddisfatta a sua volta. Una rivelazione del genere arresterebbe il progresso. Non produrre ciò che è possibile metterebbe in luce che la legge delle «aspettative crescenti» è un eufemismo per indicare un abisso di frustrazione sempre piú profondo, che è il vero motore di una società fondata sulla coproduzione di servizi e di accresciuta domanda.
Lo stato d'animo dell'abitante della città moderna figura nella tradizione mitica solo nelle immagini dell'inferno. Sisifo, che per qualche tempo era riuscito a mettere in catene Thanatos (la morte), deve far rotolare un pesante masso su per una collina sino in cima all'Ade, e ogni volta che sta per arrivare alla meta il masso gli sfugge di mano. Tantalo che, invitato a pranzo dagli dèi, rubò loro in quella occasione la ricetta segreta dell'ambrosia che guariva ogni male e conferiva l'immortalità, soffre in eterno la fame e la sete, immerso in un fiume le cui acque si ritraggono dalle sue labbra e sotto i rami di un albero i cui frutti gli sfuggono. Un mondo di richieste sempre crescenti non è semplicemente un male, lo si può soltanto definire un inferno.
L'uomo ha conquistato il potere frustrante di chiedere qualunque cosa perché non riesce a immaginare niente che non possa essergli fornito da un'istituzione. Circondato da strumenti onnipotenti, è ridotto a essere uno strumento dei propri strumenti. Ogni istituzione nata per esorcizzare uno dei mali primitivi è diventata per lui uno scrigno a perfetta tenuta e a chiusura automatica. L'uomo è intrappolato nelle scatole da lui costruite per racchiudervi i mali che Pandora si lasciò scappare L'offuscamento della realtà ad opera dello smog prodotto dai nostri strumenti ci ha avviluppati tutti. Ci troviamo all'improvviso nel buio di una trappola fabbricata da noi stessi.
Ivan Illich 1971
Tratto da Descolarizzare la società, Arnoldo Mondadori Editore, 1972.
Vedi nel Covile
Ivan Illich
Wehrlos, doch in nichts vernichtet
Inerme, ma in niente annientato
(Der christliche Epimetheus
Konrad Weiß)
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